Oscurità: è questa la parola che per analogia si associa d’istinto al colore nero, sospensione della visione prodotta da una privazione di luce. È un colore con una forte potenza evocativa capace, più di qualsiasi altro, di enfatizzare e far vivere forti emozioni. Un colore che può essere tutto oppure niente, che può simboleggiare chiusura o apertura, pieno o vuoto, caos o ordine.
Un luogo, lo spazio nero, in cui vagare, lasciarsi andare, perdersi e ritrovarsi. Ed è proprio questo che sembra fare Massimo Federici una volta impugnati spatole e pennelli. Sono questi gli strumenti del suo lavoro, i mezzi con cui mettersi in contatto con il proprio inconscio, lo spazio delle emozioni che l’artista analizza e traduce attraverso il gesto. Le sue opere hanno evidenti riferimenti all’espressionismo astratto che nel suo caso si trova in equilibrio tra il materico e il gestuale. Le sue tele sono generate da un continuo scontro tra forze positive e negative, istinto e razionalità che si rincorrono incessantemente alla ricerca di un punto di equilibrio. Con il fare di un alchimista Federici mescola la materia per dar forma a una serie di microcosmi rappresentativi delle possibili forme dell’universo (…)Nelle tele realizzate da Massimo Federici luce e ombra, lucido e opaco, vitalità e stasi, materia e pigmento, si sommano per dare vita a immagini capaci di aprire infiniti dialoghi dagli infiniti sensi perché il discorso non segue una linearità ma si alimenta delle reazioni emotive dei singoli fruitori. Le sue opere si presentano come una serie di nuovi filtri segreti che moltiplicano e dislocano i sensi.
𝐼𝓈𝒶𝒷𝑒𝓁𝓁𝒶 𝒞𝓇𝓊𝒸𝒾𝒶𝓃𝒾